lunedì 17 marzo 2014

15 marzo: fiocchetti lilla. C'ero anche io (c'eravamo anche noi!)


Devo essere sincera: ho pensato di scrivere questo post già mentre ero seduta ad ascoltare "la mia storia". Poi c'è stato il fine settimana, ma soprattutto tanta confusione. In realtà, ancora oggi a distanza di due giorni, faccio appello ai ricordi per cercare di capire cosa realmente abbia provato quando lì davanti a me, terapeuti, dottori e non solo, parlavano di qualcosa di tanto vicino quanto lontano.

Faccio un passo indietro altrimenti sembra stia scrivendo del nulla.
Il 15 marzo è stata istituita da ormai tre anni, la giornata del fiocchetto lilla, diventato simbolo anche in Italia della lotta, ma soprattutto della conoscenza dei disturbi alimentari. Sapevo delle manifestazioni nelle varie sedi FIDA (la più vicina a me è Salerno, comunque distante un'oretta di macchina), ma ignoravo totalmente che il comitato emmepi4ever in collaborazione con Mi Nutro di Vita avesse organizzato un incontro nei saloni di un auditorium parrocchiale di Casagiove, paesino che dista da caaasa appena una ventina di minuti. In questo dedalo di incontri virtuali chiamato internet, ho avuto la fortuna di aver incrociato anche Elisabetta, che venerdì sera mi ha lasciato questo invito attraverso Facebook.
La prima reazione è stata, come sempre in pratica, di ansia: ho letto il programma ed ho pensato di voler scappare. L'ho riletto e mi sono detta che sicuramente avrebbero parlato solo di anoressia e bulimia. Poi ci ho pensato su: cosa mi faceva paura oltre al fatto di dover andare in un posto che non conoscevo a fare qualcosa di nuovo? Ed il problema mi è stato chiaro: avrei sentito, per la prima volta, dialogare di  me da persone che vivono quotidianamente gente come me e lo fanno per lavoro, non per sentito dire, non per aver letto su internet come ho sempre fatto io.
Chi mi conosce sa che in tutti questi anni non sono mai andata in terapia: non ho avuto nessun tipo di approccio reale con un terapeuta. Ho la testa e gli occhi pieni di letteratura psichiatrica, almeno per quello che in questi anni ho trovato in rete. Ho una cultura sommaria, la stessa del malato che è talmente disperato da appigliarsi a qualsiasi cosa. Dico sempre che questa è stata una mia debolezza, che forse avrei trovato più risposte in minor tempo o avrei fatto un lavoro più profondo senza perdermi più volte: ma è andata così.
Comunque sia, il vero, reale problema è stato pensare all'autorità delle informazioni che avrei ricevuto quel pomeriggio. Come se trovarmi davanti quelle persone accreditate, potesse rendere ancora più vero, più tangibile il mio dca.



"Ing. per domani ho un invito ad un incontro per i dca..."
"Bene, ci andiamo?"

E così siamo andati, nonostante abbia tentato di dissimulare il piacere di averlo con me più volte dicendogli cose del tipo guardacheduratreoretiannoi.
E' stato bello ed emozionante. E scombussolante. Altamente scombussolante, in special modo quando già il primo intervento ha posto l'attenzione ai caratteri del binge. C'erano delle slides, lì davanti, che parlavano di me: ma di me non solo durante l'abbuffata, ma dei caratteri di contorno che solitamente ha chi soffre di bed. Si è parlato anche di storia dei disordini alimentari, di testimonianze. Si è parlato di come ogni disturbo alimentare non sia un'isola a sé, ma sia parte di un tutto in cui un soggetto  può allegramente sguazzare durante tutta la vita.

Hanno parlato dei miei periodi di abbuffate solitarie, della mia vergogna e del mio perfezionismo. Del mio controllo, delle mie restrizioni e della mia disperazione. Del mio negare di avere un problema e di tutto il contorno, della vita di relazione che va a donnine allegre.
Ma hanno parlato ed ho visto viva l'angoscia, di chi ha vissuto con qualcuno malato di dca. Dell'impotenza che si sente di avere in questi casi.



Ma è stato un pomeriggio di sublimazione: non mi sono sentita un essere strano, un animale da circo. La normalità che cercavo accanitamente quanto più il disturbo si impossessava di me era lì, tra le parole di chi magari, avrebbe saputo guarirmi prima. Ero documentata da libri e libri, da ricerche psicologiche e trattati e questo mi ha rassicurata nonostante sapessi già.

Io ci sto ancora lavorando: i chili persi sono solo la risposta del corpo ad una strategia di guarigione. Ma tanto c'è ancora da fare e penso che l'opportunità che mi è stata data sabato pomeriggio fa parte di questo percorso.
Ho scelto di andarci, sono riuscita ad andarci e ne sono contenta.
Anche per questo non smetterò mai di ringraziare Elisabetta (senza la quale non avrei saputo).
E, naturalmente l'ing. che ci mette sempre il suo: prima, durante e dopo.

































(immagini da https://www.facebook.com/memorialmariapaola)


I nostri fiocchetti a caaasa


lunedì 3 marzo 2014

Ma come si fa a diventare così?


Così come?
Così teneri? Così belli? Così stronzi? Così cosa? Ah, si. Grassi. Così grassi.


Come si fa a diventare così enormemente grassi, così occupanti spazio, così lipidici e nemmeno tanto morbidi. Quella della morbidezza molte volte è una grossa (grassa) bugia: a parte l'enorme stomaco, le mie morbidezze rientravano quasi in una consistenza normale; la stessa che può avere una qualsiasi donna che non ha interesse a mettere su muscolo. Solo che era di più.
Come si fa a guardarsi allo specchio ogni mattina e non farsi schifo?

Gran parte di queste domande mi sono state poste dal mio allenatore che, forse proprio perché mi stima (uhhh che parola grossa!), non si fa troppi problemi a chiedermi certe cose. Lui sa: almeno sa che ero 130kg e che quando a giugno 2012 sono arrivata nella sua palestra ne pesavo già 75. Sa e proprio oggi, mi ha portata ad esempio ad una signora facendole capire che, sostanzialmente, non esiste una bacchetta magica per il dimagrimento. Certo, se non avesse detto qualcosa del tipo:"una ragazza che viene qui era 130kg ed ora ne pesa 60 perché non si è messa scuse davanti"(bontà sua difettare circa il mio peso!), magari la signora mi avrebbe detestato meno.


Ma la domanda è: se non esiste una bacchetta magica per il dimagrimento, perché dovrebbe esserci un qualcosa di tanto potente e malefico che ci induce ad arrivare a certi pesi record?
Perché non ci si ferma prima?
Perché non si limitano i danni quando si capisce di essere dieci/venti chili sopra il proprio peso forma?*

Una risposta unica non esiste e soprattutto varia da persona a persona, ma sarebbe da soffermarsi sulla frase precedente:

Perché non si limitano i danni quando si capisce...


Non ho usato questo verbo in maniera inappropriata. Nel mio caso io non ho realmente capito fino ai ventitré, ventiquattro anni. Non avevo i mezzi per capirlo e sono stata fortunata a trovare sulla mia strada un piccolo forum che mi ha aperto occhi e mente.
Dca, abbuffate, binge, rapporti familiari e piano piano un minimo di chimica dei macro nutrienti. Ho letto tanto e mai tanto come altri compagni di viaggio.

Il mio peso, i miei centimetri e le difficoltà oggettive di ogni giorno erano diventate parte di me.
Perché non ci si ferma prima? Perché non esiste davvero un prima. Dopo anni di dietologi che scuotevano il capo ad ogni pesata, ho accettato il mio ormai davvero enorme corpo come un qualcosa di naturale, qualcosa che non avrebbe potuto cambiare.
Lui. Come se il cambiamento dovesse venire da lui e non da me.
Perché io, realmente, non esistevo. Ero un'emanazione del mio corpo: una voce, un battito di ciglia. Il mio corpo arrivava prima di tutto: lo è quasi sempre, ma con me era ancora più facile.
Faccio un esempio: sono stata apprezzata, nel mio piccolo, per la mia voce. Per identificarmi nell'ambiente, cosa credete che si dicesse?
"Ma chi, Diana, quella grossa?" (gentili!) e non, magari, "ma chi, Diana, quella con la r moscia?".
Ditemi voi: io canto. Vengo apprezzata per come canto, dunque mi state ascoltando. E allora perché la prima cosa che vi viene in mente per definirmi è la mia stazza e non il mio difetto di pronuncia?



Gli anni passano e penso che se non avessi avuto tante piccole coincidenze, avrei finito per finire di annullarmi.
Il mio corpo avrebbe annullato Diana. Perché quella fiammella Diana non avrebbe fatto in tempo a capire che invece tutto si trasforma: che la stessa trasformazione esterna avrebbe portato anche una interna. E come in un enorme cerchio, quella interna avrebbe portato ad accettare quella esterna.

Arrivi ad un punto in cui ti fa schifo anche farti schifo. O, come ho scritto oggi ad una compagna di viaggio che mi chiedeva quale fosse stata la molla decisiva per il nuovo stile di vita:

"Era già troppo tempo che NON mi lamentavo del mio status di obesa patologica [...] mi abbuffavo, non mi guardavo allo specchio, non mi lamentavo più di me stessa, non riuscivo nemmeno più a compatirmi. Potevo, effettivamente, aspettare solo di morire".




*quello che lui intendeva è: sappiamo tutti che tranne che per importanti disfunzioni o problemi medici è praticamente impossibile prendere trenta chili in tre mesi. Di conseguenza perché aspettare di ingrassare tanto e poi, forse, ricominciare a riappropriarsi di se stessi?




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